Il tasso di inflazione (o, meglio, deflazione) giapponese è tornato ai livelli precedenti l’inizio dell’Abenomics, serve una nuova idea
Quello che è successo in Giappone negli ultimi anni è potenzialmente in grado di modificare molti capitoli nei principali testi di macroeconomia.
L’ultima novità arriva dal tasso di inflazione giapponese:
(source: Business Insider Australia)
La deflazione, complice anche il forte calo del prezzo di importazione del petrolio, è tornata al livello visto prima del lancio della fantomatica Abenomics, la politica fiscale e monetaria ultra espansiva voluta dal premier giapponese Shinzo Abe.
Allo stesso tempo, la crescita del PIL è rimasta all’interno del corridoio visto prima di Abe:
(source: tradingeconomics)
Ora, quanto accaduto è in contrapposizione con le due principali scuole di pensiero macroeconomico normalmente citate:
1) Scuola Keynesiana: per quanto anche Keynes fosse scettico riguardo alla capacità della banca centrale di creare crescita tramite il solo incremento della base monetaria, la politica fiscale fortemente espansiva del 2013 avrebbe dovuto spingere la crescita economica, ma questo non è successo
2) Scuola Monetarista: la teoria della neutralità della moneta dice che un incremento della base monetaria porta, nel lungo periodo, ad una crescita dell’inflazione (con rischio di iper-inflazione), con un effetto nullo sulla crescita dell’economia
Entrambe le scuole sembrano avere sbagliato.
Come è possibile ? Dov’è l’errore ?
Visto il fatto che tutto questo è molto recente, il dibattito sul tema è decisamente poco maturo, ogni opinione è da valutare con attenzione.
La nostra idea è che vi sia stato un grosso errore di politica fiscale. Da un lato il Giappone ha tagliato pesantemente la pressione fiscale sulle aziende, dall’altro ha alzato (e di molto) quella sui consumatori:
Manca, a nostra conoscenza (ma siamo pronti ad essere smentiti), una teoria economica solida che indichi ad un governo come bilanciare le manovre fiscali sul lato dell’offerta (le aziende) e su quello della domanda (i consumatori). E, forse, l’errore del Giappone porterà ad un maggiore lavoro di ricerca sul tema.
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