La Legge di Stabilità del Governo Letta è troppo debole

enrico letta

Da Keynesblog e lavoce.info il giudizio è piuttosto unanime: la manovra del Governo Letta non è affatto sufficiente a rilanciare l’economia Italiana, e purtroppo deve passare ancora in Parlamento

enrico letta

Siamo preoccupati perchè conosciamo bene le “grandi menti” che siedono in Parlamento, sappiamo che i piccolissimi sforzi fatti dal Governo Letta in questa Legge di Stabilità sono facilmente eliminabili da un Parlamento di “figli/amici di”.
Detto questo, riteniamo sia interessante leggere le opinioni di due blog economici (spesso opposti) sulla manovra del Governo.
Iniziamo da lavoce.info:

Legge di stabilità: è omissione di soccorso

È una legge per la stabilità del solo Governo. Una cura omeopatica per un malato grave, l’economia italiana. Ci sarebbero gli estremi di una denuncia per omissione di soccorso. Il taglio alla pressione fiscale sul lavoro è minimo. Meno di 10 euro al mese sia per il dipendente che per il datore di lavoro. Certo si promette di intervenire ancora nei prossimi anni. Ma è una promessa fatta già tante volte e mai mantenuta. Data la natura irrisoria delle riduzioni delle tasse, si decide di renderle invisibili, soprattutto per i datori di lavoro. Invece di abbassare in modo sostanziale i contributi sociali, si interviene sull’Irap e solo per i nuovi assunti. Si dice che non ci sono nuove tasse, ma c’è l’aumento del bollo sulle attività finanziarie che vale un miliardo,l’abolizione di una serie imprecisata di agevolazioni fiscali che vale mezzo miliardo e altre misure una tantum (la rivalutazione dei cespiti e il rientro dei capitali dall’estero) che aumentano le entrate. Al di là della loro natura una tantum, la rivalutazione dei cespiti aumenta la trasparenza dei bilanci anche perché verrà utilizzata per finanziare un’accelerazione della deducibilità delle perdite sui crediti delle banche. Aspettiamo più dettagli sul rientro dei capitali sperando che non sia l’ennesimo condono. I tagli alle spese sono in gran parte virtuali: i soliti tagli ai Ministeri per 2,5 miliardi e agli enti locali per un miliardo. Forse è questo il contenuto “espansivo” della manovra: sono tagli solo sulla carta. Si mettono a bilancio cose che non si materializzeranno. Ma l’opacità dei conti è un’arma a doppio taglio. Sulle dismissioni di immobili, le regole europee vietano di usarne i proventi a copertura del disavanzo anziché a riduzione del debito. È la stessa copertura che era stata usata nella manovrina e che eravamo stati gli unici a denunciare. È come se una famiglia indebitata vendesse la casa di proprietà per finanziare le sue spese correnti, all’insaputa dei figli. Se davvero con i 3 miliardi netti di questa manovra si arriva al 2,5 di disavanzo, non si vede perchè non sia stato usato anche l’altro, mezzo punto percentuale, attorno ad 8 miliardi, per abbassare le tasse. Il malato è grave. Forse qualcuno non se ne è accorto.

Rincara la dose poi Keynesblog:

La manovra di Letta è un’aspirina contro il cancro

Dopo tanti sacrifici molti attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all’economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Riuscirà la manovra nell’impresa, portando il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede?

di Riccardo Realfonzo da ilfattoquotidiano.it

 

Il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l’OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell’insieme dei paesi OCSE). Nessuno discute che la riduzione del cuneo fiscale sia di per sé è cosa buona e giusta.
Infatti, nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, essa determina una contrazionedei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell’industria nazionale.
In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall’altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l’occupazione. Insomma, l’abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo.

L’intervento dunque è teoricamente buono, ma vediamo come viene attuato, cioè su che scala e a quale costo.

Sotto il primo aspetto va chiarito che l’intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l’intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014.

E qual è il costo di questa manovra? In altre parole, come viene finanziata? Ebbene, le risorse complessive della Legge di Stabilità del governo – che per il 2014 vale 11,6 miliardi – provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego. Va de sé, ed è questo il punto che qui più è rilevante sottolineare, che i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell’aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l’economia riparta.

Le osservazioni appena fatte ci portano alla filosofia di fondo della manovra del governo. Si tratta di una manovra nella quale complessivamente alcune piccole riduzioni della pressione fiscale vengono finanziate con altrettante riduzioni della spesa pubblica. A ben vedere, lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. Ed è qui che casca l’asino. È infatti ormai acclarato – e a questo riguardo rinvio al “monito degli economisti“ pubblicato dal Financial Times – che in Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità.
Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l’Italia e gli altri Piggs). Ebbene, qualunque manovra anche piena di buone intenzioni ma che si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d’Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell’euro salterà.

Insomma, se è pur vero che il taglio del cuneo fiscale va nella direzione giusta, la sua collocazione dentro la “filosofia vincolista” della finanza pubblica ne sterilizza i magri effetti positivi, e la rende una medicina del tutto inadeguata al male devastante che viviamo, un po’ come l’aspirina contro il cancro.

Aspettiamo di vedere le porcate di Camera e Senato, per poi darvene tristemente conto qui su Sokratis.

 

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