Bufera Ilva, si dimettono Ferrante e Bondi

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Dopo il sequestro miliardario degli scorsi giorni, ora l’Ilva è un treno senza locomotiva, quale futuro attende la storica acciaieria ?

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Cda dell’Ilva azzerato dopo il sequestro miliardario ordinato dal gip di Taranto. Oggi al termine del consiglio di amministrazione che si è tenuto a Milano, si sono dimessi il presidente Bruno Ferrante, l’amministratore delegato Enrico Bondi e il consigliere Giuseppe De Iure. Nella nota diffusa dall’azienda si legge: «L’ordinanza dell’autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva nello stabilimento di Taranto. Per tali motivi il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all’attività industriale e per questo tutelati dalla legge n. 231 del 2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale. Vista la gravità della situazione e incidendo il provvedimento di sequestro anche sulla partecipazione di controllo di Ilva detenuta da Riva Fire, i consiglieri Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure hanno presentato le dimissioni dalle rispettive cariche con effetto dalla data dell’assemblea dei soci che il consiglio ha convocato per il giorno 5 giugno ore 9, ponendo all’ordine del giorno la nomina del nuovo consiglio di amministrazione». Il cda ha infine dato mandato agli avvocati di impugnare l’atto del gip Patrizia Todisco che ha disposto il sequestro preventivo dei beni di Riva Fire (società capogruppo) nella misura di 8 miliardi e 100 milioni di euro. Un sequestro per equivalente, ai fini della confisca, deciso dal magistrato a fronte degli interventi che si renderanno necessari per la bonifica delle aree inquinate dall’Ilva. La cifra degli 8 miliardi scaturisce dalla perizia che i custodi giudiziari hanno consegnato alla Magistratura.

Futuro pieno di incertezze
E adesso che accade? È la domanda che da oggi pomeriggio prende a girare tra i lavoratori dell’Ilva, 11mila solo quelli di Taranto. «La produzione non si tocca» aveva affermato ieri il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, spiegando che il provvedimento è stato adottato in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità delle imprese, legge che dal 2011 è estesa anche ai reati ambientali, quelli per cui i Riva sono indagati a Taranto. Sebastio aveva infatti specificato che il sequestro avrebbe colpito beni mobili e immobili della Riva Fire ma tralasciato il siderurgico di Taranto in quanto tutelato dalla legge 231 (un numero che ricorre, come si vede) del 2012. E quindi niente blocco di produzione, impianti e materie prime. E quand’anche fosse stato necessario mettere i sigilli ai beni dell’Ilva di Taranto, aveva ancora spiegato il procuratore capo, si sarebbe trattato di un’operazione residuale nel senso che avrebbe toccato ciò che non era strettamente funzionale alla produzione.

 

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore”

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