Moody’s: il PIL Italiano Scenderà Dello 0,1% Nel 2014

A Moody's sign is displayed on 7 World Trade Center, the company's corporate headquarters in New York

Le previsioni fatte dall’agenzia di rating americana sull’andamento del PIL italiano per l’anno in corso sono ben diverse da quelle di Renzi e Padoan: si teme che il PIL del nostro paese scenda dello 0,1% nel 2014 (guest post)

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Moody’s taglia le stime del Pil italiano per il 2014 e rivede al rialzo le stime di deficit e debito. «Alla luce dei nuovi dati» del secondo trimestre, l’agenzia di rating statunitense «ora prevede che l’economia italiana si contrarrà dello 0,1% nel 2014, contro il +0,5% previsto in precedenza». Moody’s fa riferimento alla contrazione del Pil dello 0,2% nel periodo marzo-giugno annunciata la scorsa settimana. Questo – sottolinea l’agenzia – «renderà più difficile la riduzione del debito e del Pil e sarà anche più arduo politicamente attuare le misure economiche strutturali».

Moody’s prevede inoltre che l’Italia non riuscirà a raggiungere i target di deficit del 2014 (2,6%) e del 2015 (1,8%). L’agenzia Usa prevede il 2,7% in entrambi gli anni, «con significativo rischio di revisioni al rialzo». Il debito/Pil è atteso in aumento fino al 136,4% nel 2014 per poi scendere al 135,8% nel 2015.

«La recessione avrà effetti negativi sulla politica fiscale e sul clima politico nel suo insieme, a livello sia nazionale sia europeo», evidenzia ancora Moody’s nella nota. «Poichà il Governo prevede una crescita dello 0,8% per quest’anno, la contrazione dell’economia minaccia la forza fiscale del governo», indica l’agenzia Usa, sottolineando anche «gli ostacoli che l’Italia incontra nel rendere permanenti le riduzioni della spesa a causa delle pressioni politiche interne».

Il riferimento è alle recenti dichiarazioni di Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, sul fatto che «il Parlamento ora progetta di usare una parte dei tagli dalla spending review per finanziare nuove spese per 1,6 miliardi di euro nel 2015, invece che finanziare la riduzione del debito, tramite tagli permanenti».

Roma è bacchettata anche riguardo alle riforme strutturali, per le quali si troverebbe in ritardo rispetto agli altri Paesi periferici dell’area euro», e con un cammino reso ancora più difficile dalla recessione. «La debolezza del quadro economico rende più complicate l’approvazione e l’attuazione del piano di riforme strutturali» annunciato dal governo di Matteo Renzi, indica l’agenzia.

Il piano è «ambizioso», ma «la lentezza dell’azione di riforma suggerisce che la popolarità del governo (che è stata dimostrata dall’esito delle elezioni europee) non si è ancora tradotta in uno slancio politico che porti ad approvare e ad attuare» un quadro più ampio di riforme. «Tale lentezza e le carenze nella performance dei conti pubblici – prevede Moody’s – probabilmente aumenteranno le tensioni tra l’Italia e alcuni partner europei, in particolare la Germania».

Come prova del ritardo e della lentezza italiana nel processo di riforme, Moody’s porta anche un indice dell’Ocse sulla «reattività alle riforme»: l’Italia è ultima tra i Paesi periferici della zona euro, assieme all’Irlanda, con un indice pari a 0,6. Al “top” la Grecia che sfiora l’1,6, quasi il triplo rispetto alla Penisola, davanti alla Spagna che è attorno all’1,5 e al Portogallo che è sull’1,3 circa.

«80 euro, presto per vedere gli effetti»
È ancora presto per vedere l’effetto degli 80 euro sull’economia. Il bonus di cui hanno beneficiato i dipendenti a basso reddito «e’ una misura importante», ma essendo entrata in vigore a giugno ha influito solo su uno dei tre mesi del secondo trimestre, rileva Moody’s nello studio in cui taglia le stime del Pil italiano e sottolinea la lentezza delle riforme.

«I dati del secondo trimestre mostrano una debolezza dell’economia alquanto uniforme. Servizi, manifattura e agricoltura hanno dato un contributo negativo alla crescita, le esportazioni nette hanno frenato, mentre la domanda domestica e’ stata neutrale», ricapitola l’agenzia nel rilevare che «l’Italia sta usando la politica fiscale per stimolare l’economia, una strategia che finora non ha tenuto il Paese fuori dalla recessione».

 

(articolo tratto da “Il Sole 24 Ore“)

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