Quanti di noi andranno in pensione ?

Inps pensione cartelle previdenziali istituto nazionale previdenza sociale

Il Sole 24 Ore ci fa riflettere sull’aumento del pessimismo tra gli Italiani: un Italiano su 8 è convinto che non arriverà mai alla pensione

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«Tanto, la pensione, non la prenderò mai!». Alzino la mano chi ha sentito da un amico o un parente chiudere così una conversazione sulla riforma Fornero o sulle scelte di previdenza complementare. Un modo per esorcizzare un timore atavico: quello di ritrovarsi povero in età anziana e di essere abbandonato dai propri cari nel momento del bisogno.

Un esorcismo che in realtà attende avidamente una smentita; che talvolta arriva, quando magari ci si sofferma a fare i calcoli veri della propria rendita pensionistica (almeno per gli over 40 e sepre più frequentemente per le generazioni meno giovani). L’allontanarsi del traguardo pensionistico non è solo un tema italiano ma internazionale. L’ha monitorato la banca internazionale Hsbc nel suo nono rapporto sulla previdenza, dal titolo “Life after pension?”, in cui ha intervistato 16mila lavoratori di quindici paesi di tutti i continenti (dagli Usa all’Egitto, al Regno Unito alla Cina al Messico, Italia esclusa da cui emerge come il 12% delle persone interpellate stima che non riuscirà ad andare in pensione con una rendita adeguata: per una persona su otto la pensione è dunque qualcosa di simile ad un’utopia.

I dati sono ancora più allarmanti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, paesi dove chi dispera di andare in pensione sono rispettivamente il 19 e il 18%, quasi un lavoratore su cinque. Ovviamente si tratta di auto-percezioni, che in molti casi potrebbero risultare infondate e difformi dal reale risultato della contribuzione di questi lavoratori, durante la loro carriera professionale: un effetto prodotto in buona parte dalla recente crisi economica ma che ovviamente è un dato da non sottovalutare, visto che le decisioni in materia previdenziali si prendono in base alla percezione della realtà, anche di quella erronea.

La ormai normale incertezza
” Generare una rendita adeguata – dice Simon Williams, capo della divisione wealth management di Hsbc – resta la sfida maggiore per la maggior parte delle persone, viste le condizioni causate dalla recessione internazionale”. L’indagine – che ovviamente indaga tra sistemi previdenziali assai diversi – riferisce che nel mondo ci sono 579 milioni di pensionati che percepiscono dallo Stato in media una quota pari al 37% dell’ultimo salario. L’età del pensionamento, che in alcuni paesi non è fisso ma flessibile, è un elemento particolarmente critico: ben il 43% del campione non sa quando smetterà di lavorare; in Brasile il picco, con l’82% di lavoratori che non ha idea di quando andrà in pensione; la quota più bassa in India, dove solo il 29% è incerto. Che il problema maggiore sia il lavoro è evidenziato dall’alta percentuale, 64 “semi-pensionati” su cento, che rimpiangono di non aver lavorato di più in pasasto, visto l’ammontare della propria rendita pensionistica.

Il declino del mito babyboomers
Ritirarsi in campagna? Dedicarsi alla pesca? Giocare con i nipoti? Per milioni di lavoratori in tutto il mondo questi obiettivi rappresentano un’utopia e, di conseguenza, l’attività lavorativa rappresenta una gabbia da cui non uscire facilmente. E pensare che fino a pochi anni fa – prima della crisi subprime – altre indagini si concentravano sui babyboomers, ossia gli americani nati subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e andati in pensione intorno al 2005, che con la loro capacità di spesa venivano descritti come un motore per la crescita dei consumi e dell’economia statunitense e internazionale. A cinque anni da Lehman Brothers è evidente quanto sia cambiata la gerarchia dei valori – economici e non – negli Stati Uniti.

La pensione, per sempre più gente, non è più il traguardo da tagliare il prima possibile, per dedicarsi ai piaceri della vita prima che l’età avanzata li allontani. Infatti, secondo le ultime indagini demografiche riguardanti i residenti negli Usa, è in netto aumento il numero degli americani che continuano a lavorare in età avanzata: se nel 2000 il 38% degli over 65 erano al lavoro, nell’agosto scorso la quota era salita al 49%, con aumenti dal 18 al 27% tra gli over 70 negli ultimi tredici anni. Un “pensionabile” su due, dunque, continua a lavorare, e un ultrasettantenne su quattro rinuncia al apensione: alcuni sicuramente per la passione del lavoro, ma una parte preponderante, è facile immaginarlo, per necessità.

Le pensioni come la guerra
E gli italiani? Non è difficile ritrovare nel profilo tracciato da Hsbc anche quello degli italiani. Una ricerca realizzata lo scorso anno dal Censis per la Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, evidenziava come il pensiero della pensione sia fonte di ansia: con un 40% dei lavoratori che versano contributi non regolari ma intermittenti, e nu 34% che teme di poter perdere il lavoro nel prossimo futuro. Una percezione che porta il 46% degli interpellati – praticamente un italiano su due – a prevedere per sé una una vecchiaia fatta di ristrettezze. Una previsione, anche in questo caso, in trepidante attesa di essere smentita. Per questo si attende che venga diffusa a tutti i lavoratori la cosiddetta “busta arancione”, ossia la comunicazione che gli enti previdenziali dovranno inviare ai lavoratori iscritti per informarli sul montante dei contributi versati e sul loro prodotto in termini di rendita stimata (l’Inps ha iniziato a inviarle a un campione).

Sempre di stime si tratta, ma definite attraverso un calcolo certificato e decisamente meno aleatorie dalle impressioni e dalle chiacchiere da bar. Perché solo dalla maggiore certezza possibile che è possibile impostare una pianificazione previdenziale, che sgombri i fantasmi e ci porti alla realtà. La migliore possibile per la nostra vecchiaia. Come? Risparmiando in maniera adeguata – soprattutto se si è giovani – , utilizzando in particolare i fondi pensione di secondo pilastro, che rappresentano la via maestra per supportare il proprio primo pilastro pensionistico con una «pensione di scorta» e agguingere alla pensione pubblica un’entrata aggiuntiva, per avvicinarsi al 75/80% del’ultimo stipendio che percepisce chi smette di lavorare in questo periodo. Un’opportunità, peraltro incentivata fiscalmente, che però solo il 25% dei lavoratori ha finora sfruttato.

 

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore”

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