Il governo Letta è peggio di quello Monti

Palazzo Chigi - Insediamento del Presidente del Consiglio Enrico Letta

KeynesBlog ci azzecca in pieno: il Governo del (non) fare di Enrico Letta è forse addirittura peggiore di quello di Mario Monti, che già aveva raggiunto livelli mai visti nella Storia recente

Palazzo Chigi - Insediamento del Presidente del Consiglio Enrico Letta

di Gustavo Piga

La nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza è il primo documento ufficiale che permette di misurare credibilmente il segno della politica economica del Governo Letta. Non solo. Pubblicata a meno di 6 mesi di distanza dall’ultimo documento ufficiale del Governo Monti (il DEF stesso), abbiamo ora modo di ottenere informazioni preziose su due ulteriori dimensioni delle bontà delle scelte adottate dagli ultimi due Governi: 1) gli ulteriori scostamenti ed errori di previsione del Governo del Professore nell’ultimo trascorso semestre e 2) se e come la Grande coalizione italiana attualmente in carica intende discostarsi dalle politiche (giudicate fallimentari da circa il 90% dei votanti alle recenti elezioni politiche) del predecessore bocconiano.

 

I conti sono presto fatti. In soli 6 mesi l’outlook sul 2013 dell’economia italiana è cambiato in peggio su tutti i fronti: con un aumento del rapporto debito su PIL di ben 2,4 punti percentuali, un rapporto spesa pubblica su PIL maggiore di quanto affermato 6 mesi fa di ben 0,8 punti percentuali ed un peso delle entrate fiscali su PIL ancora maggiore, di 0,5% di PIL. Il fatto che – malgrado l’ammissione del Dicastero di Via XX Settembre che i “moltiplicatori fiscali si sono mostrati ben più reattivi di quanto inizialmente stimato dalle principali istituzioni internazionali” – questi errori di previsione del Tesoro continuino imperterriti da anni fa dubitare fortemente della bontà e della credibilità delle nuove proiezioni da poco elaborate. La colpa, si direbbe, è di una (de)crescita economica che è stata nuovamente sottostimata (da -1,3 oggi a -1,7% per il 2013). Ma, evidentemente, la minore crescita ha a sua volta una sola causa: l’aumento della tassazione e soprattutto la diminuzione della spesa, quella spesa capace di generare ricchezza e ripresa in una fase di ciclo in cui la domanda interna privata è scomparsa.

Spicca in questo senso l’incredibile decisione programmatica sugli investimenti pubblici, che Monti già prevedeva di ridurre, dal 2013 al 2017, dello 0,4% di PIL (da un livello di partenza storicamente già bassissimo) e che Letta addirittura accentua con una riduzione, nello stesso periodo, di 0,9% di PIL. Su tutte le altre dimensioni di bilancio rimane, nel Governo attuale, la stessa traccia di austerità che aveva caratterizzato la visione di lungo periodo del Governo Monti: sulla spesa per dipendenti pubblici è prevista la stessa riduzione di ben 1,3% di PIL in 4 anni (difficile immaginare in tal senso una ricomposizione dai settori pubblici meno strategici verso la scuola, la ricerca e l’università), mentre entrate e spese totali paiono ormai scolpite nella pietra, con una identica convergenza al 2017, oggi come 6 mesi fa, verso valori minori di quelli odierni, almeno sulla carta.

Il tempo passa, e dunque nulla cambia, anzi se possibile l’austerità peggiora. Val la pena chiedersi da dove derivi questa rigidità ed apparente incapacità del Tesoro di “rivoluzionare” le leve del bilancio pubblico per portare l’economia fuori dalla recessione. E’ semplice. Basta leggersi con attenzione i due DEF del Ministero per rendersi conto che quest’ultimo non segue, come dovrebbe, l’elementare regola della crescita economica ma piuttosto due “nuove” regole imposte da Bruxelles: quella della spesa pubblica e quella del debito, ideate per porre vincoli stringenti alla crescita di queste variabili. L’Italia non soltanto ha ubbidito a queste nuove regole; i recenti Governi si sono addirittura mostrati più realisti del re e, così facendo, hanno tolto spazio vitale alla ripresa economica.

La regola della spesa pubblica, che pone limiti severi alla crescita di questo aggregato, ed è la ragione per la quale i governi di Monti e soprattutto di Letta hanno deciso di sacrificare addirittura la leva strategica degli investimenti pubblici, richiedeva che l’Italia nel triennio 2012-2014 diminuisse la spesa reale dello 0,8% nei primi due anni e la mantenesse stabile nell’ultimo. Niente di più. Eppure, incredibilmente, questa è invece scesa di ben più di quanto non fosse necessario: rispettivamente del 4,7, dell’1,4 e del 2,3%; diminuzioni ultronee, capaci di farci comprendere le ragioni della contestuale recessione ed instabilità dei conti pubblici che sono il segno della politica economica di questi ultimi Governi.

Purtroppo, a sua volta, la recente nota d’aggiornamento al DEF ci ricorda che l’Europa delle regole stupide è sempre al lavoro. Così apprendiamo che è de facto partito il meccanismo del Fiscal Compact che già ci obbliga a convergere verso valori del debito su PIL in rapida riduzione (un paradosso, se pensiamo che le soluzioni europee sinora adottate per l’Italia non hanno fatto che aumentarlo). Ma anche qui, scopriamo che il nostro Governo è stato più conservatore dell’Europa stessa: mentre l’aggiustamento fiscale richiesto da questa regola per il 2013 era pari allo 0,1% di PIL, leggiamo, “tuttavia, (che) lo sforzo fiscale attuato dal Governo nell’anno in corso, pari a 0.9 punti percentuali di PIL, risulta essere nettamente superiore alla correzione fiscale richiesta per il rispetto della regola del debito”. Un masochismo senza pari.

Spazi per un’espansione fiscale autorizzata dall’Europa c’erano e ci sono. Ci si deve chiedere piuttosto se ci sia un Governo nazionale capace di comprenderlo e di negoziare con coraggio in questa direzione.

pubblicato su da gustavopiga.it con il titolo “Fatto: questo Governo è più austero di quello Monti.”

 

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